IL “BUON BARBAROSSA” A MORIMONDO
Silvia Ferrario 3AL
La presenza del monachismo benedettino in Lombardia comincia nel secolo sesto con l'arrivo dei Longobardi, convertiti al cristianesimo dalla pia regina Teodolinda al tempo di san Gregorio Magno (590-604). I piuù antichi monasteri sono nel milanese, san Simpliciano nella stessa città di Milano e san Pietro in Ciel d'oro a pavia, dove il re longobardo Liutprando nel 715 faceva trasportare dalla sardegna il Corpo di Sant'Agostino . Dopo i Longobardi vengono i Franchi, i Salici, gli Ottoni, tutti favorevoli al monachismo.
Quando in Lombardia arrivarono, nel secolo XII, i Cistercensi, gli Ottoni erano già scomparsi e la scena politica era dominata dagli Hohenstaufen tedeschi il cui esponente più autorevole era l'imperatore Federico I detto il Barbarossa.
Certo è che l'abbazia di Morimondo non ebbe mai a lamentarsi del Barbarossa, riconobbe in lui uno drei suoi più grandi amici, validi protettori e generosi benefattori. Questa benevolenza del grande imperatore per Morimondo, si manifestò specialmente in due occasioni, nel 1154 e nel 1175.
Nel 1154 il Barbarossa era sceso per la prima volta in Italia e per essere incoronato dal Papa imperatore del Sacro Romano impero: Milano e le altre grandi città guelfe della Lombardia insorsero e si opposero al suo passaggio. In quel primo viaggio era con l'imperatore anche lo zio Ottone di Frisinga, già abate di Morimond in Borgogna, che aveva il compito di stendere la cronaca del viaggio imperiale, dal titolo: Gesta Friderici Imperatoris. Nella seconda calata in Italia del Barbarossa, nel 1158, Milano venne assediata e dovette arrendersi e nel 1162 rasa al suolo.
Nella terza calata del 1166 il Barbarossa trovò un nuovo ostacolo nella Lega Lombarda, organizzata dal papa Alessandro III e sostenuta principalmente dalla città di Milano: L'imperatore, dopo diversi contrattempi e sconfitte, decise di tornare in Germania, ma prima volle vendicarsi distruggendo per la seconda volta Rosate, poi Abbiategrasso, Magenta e Corbetta. Anche quella volta Morimondo uscì indenne dalla mischia e fu risparmiata.
L'ultima calata in Italia avvenne nel 1174, conclusa tragicamente per l'imperatore con la battaglia di Legnano del 29 maggio 1176. Un anno e cinque mesi prima dello scontro di Legnano, il 14 gennaio 1754, egli firmava a favore dell'abbazia di Morimondo un documento molto importante, che sarà la base giuridica del suo ulteriore sviluppo e oggetto di conferma da parte degli imperatori successori. Era stato richiesto direttamente dall'abate morimondese Giacomo. L'abate si era presentato al Barbarossa che a quel tempo aveva cinto di assedio la città di Alessandria detta da lui “della paglia”, e ne aveva avuto subito responso favorevole.
Ne riportiamo un estratto tradotto in latino: “In nome della Santissima Trinità. Amen. Federico, favorito dalla divina clemenza, imperatore augusto dei Romani. Vogliamo che sia noto a tutti i sudditi fedeli del nostro impero che Noi a titolo di eterna retribuzione abbiamo preso sotto la Nostra protezione la chiesa di Morimondo e tutto quanto le appartiene, ed abbiamo dichiarato di difenderla da ogni violenza, in maniera che i monaci di quel luogo, sostenuti dal Nostro braccio, possano vivere in tranquilla pace e pregare per la salute Nostra e per quella dei Nostri successori…
Dato nell'Episcopato di pavia durante l'assedio di Roboreto – cioè Alessandria, così chiamata in precedenza – il giorno 14 gennaio 1175, feliciter. Amen.”
Il diploma fu riconfermato dall'imperatore
Enrico IV, figlio del Barbarossa, e da Ottone IV, successore di Enrico.
Anzi quest'ultimo fece ancora di più nominò l'abate pro tempore
“conte di Fara Basiliana”,. Il titolo di conte del medioevo non era soltanto
decorativo come diventerà più tardi, ma comportava il diritto
di giurisdizione. L'abate di Morimondo da allora in poi ebbe un suo esercito
e un suo tribunale per le cause di prima istanza.
LA FEROCE RAPPRESAGLIA DI FEDERICO II E DEI
PAVESI CONTRO MORIMONDO NEL 1237
Un altro personaggio celebre entra nella storia di Morimondo, l'imperatore Federico II di Svezia (1220-1250), nipote del Barbarossa. Il suo primo atteggiamento verso Morimondo, sull'esempio dei suoi predecessori, fu di benevolenza. Anche lui aveva confermato i privilegi precedentemente concessi all'abbazia compreso il possesso della “corte” di Basiano. Tutto andò liscio finchè Milano e Pavia stettero in pace tra loro, ma ecco che una diecina d'anni più tardi le acque si intorbidirono in modo preoccupante facendo temere vicina la guerra.
L'abate Florio si affrettò a dichiarare e a far riconoscere alle due parti in lizza la perfetta neutralità che il monastero voleva conservare nel caso che un conflitto armato dovesse scoppiare. Tanto Milano che Pavia riconobbero questa neutralità e sottoscrissero un salvacondotto per i monaci che li metteva al sicuro.
E invece poche settimane dopo avveniva, proprio ad opera dei pavesi, l'orribile scempio che è rimasto famoso nella cronaca del monastero.
La guerra tra Pavia e Milano era scoppiata di nuovo agli inizi del 1237 e ben presto le coste del Ticino divennero zona di operazione.
Federico II dall'Austria si era portato in Italia: Sconfitti i milanesi a Cortenova nel bergamasco, i pavesi suoi alleati ripresero animo, assalirono i milanesi accampati lungo il Ticino, ma questa volta ebbero la peggio. I milanesi ebbero il sopravvento e obbligarono i nemici alla fuga.
Fu in quella occasione, in quella improvvisa e rabbiosa ritirata, che gli sconfitti sfogarono la loro rabbia sul monastero mettendolo a sacco e a fuoco.
Ciò avvenne nella notte del 3 dicembre 1237. Il danno subito dal monastero in quella incursione fu ingente.
I monaci così duramente provati e rimasti senza nulla furono amorevolmente soccorsi e accolti nelle altre abbazie, Chiaravalle, Viboldone, Brera, Acquafredda e Casalvolone.
Da questo triste episodio comincia, con processo
lento e insensibile ma continuo e irreversibile, la decadenza del monastero.