Chiaravalle

 

CHIARAVALLE MILANESE
 

 

L'abbazia di Chiaravalle milanese fu fondata nel 1135 nel territorio che si chiamava Rovegnano, a 5 km da Milano: fu il primo monastero cistercense in Italia. Dipendente in un primo tempo dall'abbazia di Clairvaux, ebbe il suo primo abate nel 1138 nella persona di Brunone. Grandemente meritoria fu l'opera svolta dai monaci e dai conversi che bonificarono i terreni paludosi circostanti. La prosperità del monastero crebbe notevolmente soprattutto nel secolo XIII. Nel 1441 l'abbazia fu data in commenda; nel 1798 fu soppressa dal direttorio esecutivo della repubblica Cisalpina, insieme con la congregazione cistercense. Oggi è parrocchia prepositurale (= di competenza di un preposto, cioè di un ecclesiastico avente funzioni di parroco con preminenza su altri).
 

Fu fondata da S. Bernardo quando, giunto in Italia nel 1135, per opera del monaco Anselmo Archinto, iniziò la costruzione dell'abbazia in una zona paludosa, donata da nobili locali, terminata e consacrata nel 1221.Della primitiva chiesa non rimane nulla: nel 1150 si iniziò invece la costruzione dell'attuale edificio nel 1442, diventò commenda e fu via via arricchita di nuovi edifici, in forme gotiche cistercensi, con torre campanaria, loggette digradanti e l'interno decorato con grandi affreschi di varie epoche, tra cui una Madonna con Bambino del Luini, il chiostro gotico del XIII secolo, la sacrestia quattrocentesca e la sala capitolare con graffiti bramanteschi.

Sono due gli stili architettonici dell'Abbazia: quello romanico-lombardo e quello gotico-cistercense. Infatti la torre campanaria è detta Torre Nolare (cioè con il caratteristico coronamento "a torre" delle chiese cistercensi che si sviluppa all'incrocio del transetto con la navata e il campanile collocato al centro dell'edificio). Di origine cistercense, con una base ottagonale degradante verso l'alto, la torre è posta sul tiburio all'incrocio dei bracci della navata e del transetto. Procedendo verso l'alto, presenta ad ogni piano loggette di marmo di Candoglia e bifore, creando un gioco di colori tra il bianco e il rosso del cotto. L'autore pare essere stato Francesco Pecorari (1329-'40). La cupola o tiburio (dall'interno misura 63 m) è affettuosamente chiamata dai Milanesi "ciribicciaccola", per il caratteristico gusto locale.

LA FACCIATA
 

La facciata presenta la forma tradizionale a capanna, con doppio spiovente lineare. La cornice è sorretta da archetti pensili a tutto sesto in cotto non incrociati e con fregi a dente di sega. Il portico, del 1625, fu abbattuto nel 1926 nella sua parte superiore, recuperando la bifora ed il rosone centrale ornato in cotto con elementi decorativi architettonici costituiti da una fascia variamente sagomata. Il portico originale doveva avere l'altezza dell'attuale, ma con ben altro effetto, di gusto seicentesco. Rimangono le tre arcate in linea con i tre ingressi della chiesa.

IL CORPO DELL'ABBAZIA
 

 

Il corpo dell'Abbazia è costituito in laterizio (= terracotta), su di una semplice pianta a croce latina con il corpo longitudinale spartito in tre navate, di cui quella centrale presenta quattro campate quadrate a ciascuna delle quali ne corrispondono due delle navate minori. Le campate della navata mediana sono coperte da ampie volte a crociera costolonate, appoggiate su archi diagonali con vertice abbastanza rialzato, ma nello stesso tempo con impostazione dei quattro archi piuttosto bassa. Pertanto circa la metà dello spazio della navata mediana è definito dal giro lento delle volte. Sono queste proporzioni spaziali che conferiscono alla costruzione un andamento piuttosto appesantito, che mentre non rispetta più le caratteristiche dell'architettura romanica, non attua nemmeno quelle dell'architettura gotica. Anche il sistema dei supporti contribuisce ad accentuare questo senso di pesantezza. Esso è infatti costituito da tozzi pilastri cilindrici in cotto, privi di capitello. La pesantezza non è disgiunta da un senso di stabilità: non si dimentichi che la fabbrica poggiava su di un terreno acquitrinoso. La netta distinzione tra il blocco centrale e gli elementi più bassi è accentuata dal ritmo più mosso di questi ultimi. Le navatelle, infatti, sono scandite da massicci contrafforti che interrompono il ricorrente fregio ad archetti pensili e che a ritmo alternato salgono oltre il tetto a sostegno della navata mediana.

DECORAZIONE: GLI AFFRESCHI
 

 

Anche se San Bernardo aveva proibito ogni forma di decorazione delle chiese del suo ordine, al fine di non distrarre la mente dalla meditazione, dopo quattro secoli si infrange questo indirizzo. Autori sono i fratelli Giovanni Battista e Giovanni Mauro della Rovere, detti i "fiamminghini" perché il loro padre era nato ad Anversa. Essi attinsero tecnica e pensiero dal Procaccini, dal Cerano e dal Morazzone. Con vivaci colori e con fervida fantasia affrescarono la navata principale, il transetto e la controfacciata con un dipinto che ritrae San Bernardo che riceve il modello della chiesa dall'Architetto ed un altro affresco con la Chiesa cattolica, rappresentata come una donna vestita di bianco, alla quale Bernardo conduce i Milanesi riconciliati. Seguono altri dipinti tra i quali un affresco sopra il magnifico coro ligneo a sinistra, che rappresenta una curiosa scena: mentre i monaci recitano l'Ufficio divino, Bernardo, al centro del dipinto, "vede" Angeli annotare con inchiostro d'oro, d'argento o nero, il diverso grado di fervore di ognuno. Nel lato destro del transetto, sulla parete cui si appoggia una scala, un grande affresco dei "fiamminghini" racconta la nascita della famiglia cistercense con un grande albero genealogico. Un grande cedro nasce da San Benedetto, padre di tutto il monachesimo occidentale, su ognuna delle sei ramificazioni vi è una frase biblica significativa. La scala dava accesso ad un dormitorio poi demolito nel 1861: in cima alla scala, sul pianerottolo, Bernardino Luini vi dipinse una "Madonna della Buonanotte" (1512) che dava il buon riposo al religioso che saliva verso il dormitorio dopo l'Ufficio notturno. Sul coro ligneo (noce), in due file parallele, opera di Carlo Garavaglia del 1645, è rappresentata la vita di San Bernardo. Infine è degna di nota una moderna scultura di Giacomo Manzù: "La Resurrezione".

STORIA DELL' ABBAZIA
[...] Chiuso il concilio di Pisa San Bernardo venne finalmente a Milano (sembra nel giugno del 1134) e tutta la città andò incontro al pio monaco per fargli festa. Il santo comandò alla città che si liberassero i prigionieri fatti nelle guerre con le città vicine; ordinò che si deponessero negli scrigni gli ornamenti preziosi dovendo servire Iddio in umiltà. Per provare poi la fede ed il pentimento dei milanesi volle pubbliche penitenze. Tutto quanto San Bernardo chiese fu fatto immediatamente. Il vero prodigio operato dal Santo fu di aver portato la pace a Milano, dove lotte, delitti, spargimenti di sangue fraterno, ormai erano divenuti tragica consuetudine quotidiana. Conquistò la città in pochi giorni per la santità delle opere, per fascino dell'alta dottrina e l'eloquenza ammaliatrice. I Milanesi vollero eleggerlo Arcivescovo. Ma il pio monaco, che si sentiva chiamato ad altra missione, calmò la folla acclamante pregando lo si lasciasse salire in groppa ad un cavallo e promettendo, che se abbandonate le redini sul collo della bestia, questa, come avvenne di San Ambrogio, lo avesse ricondotto in città, avrebbe accettato di esser arcivescovo, altrimenti avrebbe proseguito il suo cammino. Così fece san Bernardo il giorno dopo: montò a cavallo, lo spronò e sparì nella campagna lasciando che i milanesi delusi attendessero ansiosamente il suo ritorno. Dopo la partenza di San Bernardo da Milano i suoi confratelli andarono per la città a sollecitare aiuti per la loro famiglia religiosa, e fecero così copiosa raccolta di oro e di cose preziose che furono in grado di portare a compimento il monastero, in una incolta e acquitrinosa pianura a sud-est della città denominata Rovegniano. I campi sterili di questa plaga incolta furono man mano mutati per l'operosità di questi monaci in ricchi pascoli, ma soprattutto in quel santo cenobio la carità di Cristo infervorava i frati nella vita ascetica, convertiva le anime piegandole al dolce giogo di Cristo, faceva fiorire opere belle dove si era fino allora annidato soltanto miseria e delitto. Il monastero diventava così faro di perfezione evangelica e palladio di civiltà.

LA VITA DEI MONACI

L'unico possedimento di cui godevano i monaci cistercensi, era l'appezzamento di terra che avevano per coltivare. Questo comporta due conseguenze: · La vita dei monaci si basava sulla povertà individuale e collettiva. · Si ritorna al lavoro manuale, come penitenza, era la pratica di un'intensa vita spirituale. I conventi o le abbazie cistercensi, sorgevano in luoghi isolati, che aiutavano la vita contemplativa e in luoghi incolti che davano lavoro a questi monaci, che vedevano affluire ai loro monasteri sempre più preti e studenti con vocazione divina. Verso la fine del XIII secolo infatti si contavano in Europa circa 700 monasteri cistercensi, che vedevano San Bernardo come l'uomo che ha dettato la nuova regola con la sua forte personalità. I monaci con il loro lavoro nei campi divennero presto benefattori dell'agricoltura, ma non solo: come Papa Eugenio III, illustri cardinali; ma soprattutto venne incaricato quest'ordine per missioni diplomatiche delicate e per predicare durante le crociate. Ma fu inevitabile col passare del tempo che l'ordine cistercense si avvicinasse anche alla cultura, fondando case di studio e dando più importanza al lavoro intellettuale. Col passare del tempo, si sminuì di molto l'importanza della vita spirituale dando maggior peso alla vita mondana e al possedimento di ricchezze, nonostante ciò, continuarono a sorgere monasteri anche all'infuori di Chiaravalle.

ANTICHE DENOMINAZIONI CHIARAVALLESI

Il monastero di Chiaravalle, nei primi anni della sua fondazione fu denominato " Santa Maria di Rovegnano". In seguito all'acquisto di alcune terre nel 1139 si trova l'indicazione " Monastero di Bagnolo" vicino a Rovegnano. Più tardi, il nome cambiò in " Monastero di Chiaravalle" dedicato a San Bernardo, detto appunto abate di Clairvaux. I monaci chiamarono anche altri monasteri " di Chiaravalle" tra cui " Chiaravalle della Colomba" e " Chiaravalle della Castagnola".

IL "LIBRO DEI PRATI"

Importante è un manoscritto ritrovato nel 1578 dal titolo " Libro dei prati" dove i monaci cistercensi accatastarono tutti i loro possedimenti. I cistercensi seppero ben approfittare di questi appezzamenti e donazioni, portarono la ricchezza dov'era misera, barattando le loro terre coltivate con terre più grandi ma incolte; così facendo, in poco tempo raggiunsero appezzamenti terrieri enormi

LA COMMENDA DI CHIARAVALLE

L'istituzione della commenda ebbe due conseguenze sull'abbazia di Chiaravalle: · La prima fu una conseguenza negativa, perché la spartizione dei beni con il commendatario causò un brutto colpo all'economia monastica. · Dalla parte della disciplina monastica la commenda fu approvata e sostenuta dalla chiesa.
 
 

Bibliografia: L'ABBAZIA DI CHIARAVALLE MILANESE, P. Angelo M. Caccin O.P., MONETA-MILANO