Il mito del povero pellegrino difficoltà e costi dei viaggi devozionali nella storia. Il pellegrino che parte per la Terrasanta deve portare con sé tre sacchi: uno di pazienza, uno di denaro e uno di fede |
||||
Pellegrini lungo la via Francigena: duomo di Fidenza
Nel mondo cristiano sono esistite due forme di pellegrinaggio: Il pellegrinaggio penitenziale, o espiatorio, si diffuse per lo più nell'alto medioevo. Esso era una forma di dura condanna verso una colpa molto grave. Il reo era condannato a vagabondare in continuazione vivendo nella povertà grazie solo alle elemosine. Il pellegrinaggio devozionale esiste fin dall'epoca paleocristiana e
consiste nel raggiungere i luoghi “santi” per raccogliere
nell'esperienza diretta l'essenza della propria fede religiosa. Fino all'XI secolo i pellegrinaggi furono un fenomeno
piuttosto limitato per l'insicurezza generale e anche per una certa
diffidenza da parte della stessa Chiesa. In seguito la Chiesa riconobbe nel pellegrinaggio
un'esperienza fondamentale della vita religiosa e lo disciplinò,
corredandolo di un apposito voto e delle relative indulgenze
spirituali.
A Roma i pellegrini trovavano non solo i ricordi degli Apostoli e dei Martiri, ma reliquie preziose come il legno della Croce e i chiodi, il panno della Veronica, la scala santa, la colonna della flagellazione, la tavola dell'ultima cena e tanti venerabili resti. La Terra Santa e la città di Gerusalemme attiravano schiere di pellegrini desiderosi di ripercorrere i luoghi dell' antico e del nuovo testamento e culminava con la visita al Santo Sepolcro. Pellegrini cristiani pagano i "Turcimanni" per visitare il Santo Sepolcro I pellegrini devozionali per essere riconosciuti e aver accesso a qualche forma di sostegno lungo il viaggio dovevano essere in possesso di una tessera di cuoio che potesse garantire sull'identità e sulle loro motivazioni religiose rilasciata dall'autorità civile o religiosa del luogo di partenza. Queste “credenziali” potevano essere anche lettere di accompagnamento presso famiglie parenti o affini o amici ed erano diffuse presso tutte le classi sociali. La diffidenza verso il pellegrino e lo straniero in generale era comunque diffusa. Le differenze sociali ed economiche erano accentuate. Nelle campagne c'era chi correva a chiedere l'elemosina ai viandanti senza fare distinzione fra pellegrini o mercanti. Perché mai la gente doveva sostenere gli stranieri se spesso non aveva a sufficienza nemmeno per se stessi? Nell'iconografia tradizionale I pellegrini avevano particolari che li contraddistinguevano: il bastone (detto bordone), la schiavina, soprabito lungo e ruvido, la bisaccia in pelle per il denaro e il cibo detta escarsela con termine provenzale, la pazienza, ossia un cordone in vita simile a quello dei frati, e i segni del santuario verso il quale erano diretti o dal quale tornavano. Era un abbigliamento semplice ma comodo che permetteva loro di camminare anche sotto la pioggia e di ripararsi dal vento e dal freddo. Pellegrini si ristorano presso un "ospitale" Spesso i più
facoltosi si accompagnavano con un mulo per portare le vettovaglie o
con un cavallo. Viaggiavano, quando possibile, in compagnia di amici
o familiari o assieme a compagni occasionali. Percorrevano fino a quaranta chilometri al giorno se a piedi e ottanta a cavallo, attività fisica che comunque necessitava di almeno un pasto adeguato la sera per se e per l'eventuale cavalcatura. Attraversare le Alpi con un cavallo ed una guida nel XVI secolo costava fino a sei ducati. Accodarsi a mercanti o ad altri pellegrini non costava nulla, ma l'ospizio per la notte andava comunque trovato per non rischiare di soccombere per il freddo. Dall'Inghilterra a Roma lungo la famosa via Francigena ci volevano almeno 44 giorni di viaggio, che si allungavano in caso di malattie o di soste obbligate per sottostare a periodi di quarantena nel caso (dalle bollette di passaggio) risultasse che il viandante fosse passato da luoghi dove erano segnalati focolai di peste. E durante le quarantena (che poteva durare fino a quaranta giorni) bisognava pensare come passare il tempo e soprattutto dove mangiare e dormire perché gli "ospitales", se esistenti in loco, avrebbero sopperito a queste esigenze al massimo per tre giorni. Processioni a Roma durante il Giubileo Una volta arrivati a Roma,
per esempio durante un anno giubilare, per ottenere
l'indulgenza plenaria bisognava fermarsi e
ri-visitare i luoghi santi in processione almeno per quindici giorni. Ma tutte queste difficoltà non
fermarono i pellegrini. Da un resoconto del Giubileo del 1300 possiamo leggere: Non abbiamo un resoconto
completo relativo alle spese sostenute mediamente da ogni pellegrino,
ma sappiamo per certo che i romani, per l'ospitalità e per
le loro derrate, furon tutti ricchi. E ricchissima divenne la
Chiesa: sicché si è venuta formando l'opinione che
quel giubileo (del 1300) non solo fu un grandioso affare
finanziario, ma un affare pensato come affare, una decisione per
radunar denari e tesoro. Molto più costoso era il pellegrinaggio in Terrasanta che avveniva, di solito, partendo da Venezia da cui salpavano, di solito in primavera inoltrata, galee che facevano rotta per Giaffa, il porto di Gerusalemme. Nel diario di viaggio del canonico milanese Pietro Casola che partì da solo per la Terrasanta nel 1494 viene descritta la cerimonia di benedizione del pellegrino presso il Duomo di Milano: "Et a XIIII° del mese de magio de l’anno presente, finito l’officio in la giesia cathedrale de Milano, presente tuto lo populo el quale non era poco, andai a l’altare maiore unde stava lo reverendissimo monsignore domino Guidantonio Arcimboldo, arcivesco dignissimo de Milano, per dare la benedictione al populo, como è de usanza. Et a sua Reverendissima Signoria domandai la benedictione de li signali de la mia peregrinatione, cioè la croce e ‘l bastone, aliter el bordone, la scarsella e di me, secundo l’ordine e la antiqua institutione se trova scripto in el Pastorale.El quale Reverendissimo Monsignore, non obstante fosse molto fatigato per el longo officio de dicte litanie, molto gratiosamente e con grande devotione, in conspecto de tuto lo populo, me benedixe e deteme li signali de la mia peregrinatione. E finita la benedictione. Sua Signoria, abraziandome con singulare lacrime, me baxoe molto caritativamente e lassome con la pace de Dio, circundato da grande populo dal qual penai un pezo a uscire, imperò che tuti me volevano tocare la mano e baxare. Pur al meglio che potè, uscindo dala multitudine, me serrai in la sacrastia unde era congregato el venerabile capitulo de li confratelli mei domini ordinarii, da quali tolsi il tenero et amatissimo comiato. Poi me reduxi a casa, più ocultamente che pote, imperò che per ogni passo me bisognava fare dimora per tucar mane e dare baxi a la brigata." (Viaggio di Pietro Casola a Gerusalemme, tratto dall' autografo esistente nella Biblioteca Trivulzio. Ed: P. Ripamonti Carpano, 1855 Milano) Pietro parte da Milano il 15 maggio 1494 a cavallo. Si ferma e descrive Brescia, Verona, Vicenza, Padova ed arriva a Venezia il 20 maggio. Resta in città due settimane visitando chiese, monasteri, palazzi ed infine l'Arsenale raccontando la città ed i costumi in modo colorito e dettagliato. Piazza san Marco e l'Arsenale 1500 (B. von Breydenbach, Peregrinatio in terram sanctam)
Dopo
aver contrattato con il capitano un trattamento "tutto compreso" per 60
ducati d'oro a cui aggiunge 30 ducati per essere ammesso alla sua
tavola (Casola è una persona benestante: si assicura così di non aver
problemi per il vitto o spese impreviste in Terrasanta), parte, assieme ad altri 170 pellegrini e 140 uomini di equipaggio, su una bella galea lunga cinquanta metri, ben attrezzata ed armata.
Finalmente l'arrivo a Jaffa, ma con questo iniziano estenuanti contrattazioni (durate due settimane) con i mussulmani per poter lasciare la nave, per ottenere i muli e la scorta. La visita ai luoghi santi dura quindici giorni. Poi i pellegrini devono sopportare ulteriori vessazioni dal governatore di Rama che chiede altri soldi per lasciarli ripartire. Il ritorno fra venti contrari, bonacce, fortunali è ancora peggio dell'andata: due mesi. Complessivamente Pietro Casola riesce a rientrare a Milano dopo sei mesi spendendo circa 100 ducati d'oro, ma non è un caso isolato. Mariano da Siena, un religioso che si è recato in Terrasanta per la terza volta nel 1431 ci lascia con queste parole: "Questa ultima volta penammo cento cinque dì. La prima volta penammo sei mesi e quattro dì, la seconda volta penammo sei mesi, meno quattro di. Questi sono i denari, che si pagano per testa in Terra Santa, e tanto paga el povaro quanto el ricco: Non vi vada chi non ha denari. Sarebbe segato per mezzo, o bisognarebbe che gli altri peregrini pagassoro per lui, o rinegasse la Fede nostra. E anco è necessaria aportare uno grande sacco di pazienza." Ecco l'elenco delle
spese che Mariano sostenne per il suo ultimo viaggio: Si
tenga presente, come termine di
paragone, che lo stipendio di un operaio ai cantieri navali di Venezia
sommava
poco più di un ducato d'oro al mese. Il pellegrinaggio del “povero
pellegrino” in Terrasanta costava quindi quanto il salario di svariati
anni
di lavoro di una persona comune. |
||||
Febbraio 2018 - Dario Monti |