E’
il simbolo più conosciuto dell’Appennino tosco-emiliano: da qualsiasi
punto del crinale si scorge la sagoma della Pietra di Bismantova. Per
secoli questa roccia dagli spigoli vivi, al centro
dell’Appennino reggiano, è stata segnavia naturale lungo le strade che
dal Reggiano (un tempo chiamato Lombardia) potravano in
Garfagnana ed a Lucca (attraverso il San Pellegrino e il Pradarena) o
in Lunigiana (attraverso il passo dell'Ospedalaccio, poi Cerreto o
attraverso il Lagastrello). Queste quattro strade trans-appenniniche
iniziano tutte dall’inconfondibile Pietra.
Abitata da popolazioni celtico-liguri, area di penetrazione etrusca,
venne assoggettata dai Romani nel II a.C. (citata come “Suis montium”
da Tito Livio). Divenne caposaldo bizantino (Kastron Bisimanto),
resistette fin al VII secolo agli assalti dei Longobardi che furono
costretti ad utilizzare,
per attraversare gli Appennini, il passo del Monte Bardone o della Cisa.
Annessa da Carlo Magno nel 781 al comitato di Parma, Bismantova passò
dal 950 ai Canossa: questi ultimi fondarono il Castrum Novum (Castello
nuovo, l’odierna Castelnovo) ed altri centri agricoli con funzione di
assistenza lungo le quattro strade di passo.
“Vassi
in San Leo, discendesi in Noli
montasi su Bismantova in cacume
con esso i piè, ma qui convien ch’om voli”.
Descrivendo la difficoltà di salire sulla Pietra di Bismantova Dante,
nel IV canto del Purgatorio,
usa le parole "ma qui convien
ch’om voli" dimostrando di conoscere
bene solo la caratteristica parete sud che, con la sua contropendenza,
può essere risalita solo con le ali.
C'è chi sostiene che Dante fosse avvezzo alla pratica dell'alpinismo
(Dante,
alpinista?) e
che il racconto dettagliato del suo vagare fra le pietre scoscese
dell'Inferno o la sua faticosa ascesa al monte del Purgatorio ne siano
la prova. Ci sono infatti versi in cui egli descrive stretti passaggi a
sbalzo sotto pareti scoscese, arrampicate con l'uso delle mani
lungo strette fessure verticali, discese pericolose su sassi scivolosi:
“Noi salivam per entro il sasso rotto
E d’ogni lato ne stringea
lo stremo
E piedi e man volea il
suol di sotto”
Come era Dante
quando non vestiva i panni rossi e l'alloro del poeta?
Dante viene ricordato così da Giovanni Boccaccio:
"Fu adunque questo nostro
poeta di mediocre statura e, poi che alla matura età fu pervenuto, andò
alquanto curvetto, e era il suo andare grave e mansueto, d’onestissimi
panni sempre vestito in quello abito che era alla sua maturità
convenevole. Il suo volto fu lungo, e il naso aquilino, e gli occhi
anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labro di sotto era
quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba
spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso."
E così lo ricordiamo noi,
di età avanzata, vestito con una veste rossa, lunga, quasi sempre di
profilo, di solito in piedi, talvolta con la Divina Commedia in mano,
ma senza la barba che probabilmente ha portato solo negli ultimi anni
della sua vita.
Come era Dante quando non
vestiva i panni rossi e l'alloro del poeta?
Dante era un cavaliere e,
come tale, partecipò ad alcune campagne militari (battaglia di
Campaldino dell'11 giugno 1289 e presa di Caprona, 16 agosto 1289).
Nel 1302, Dante, in
qualità di capitano dell'esercito degli esuli Guelfi bianchi, organizzò
un tentativo di rientrare a Firenze che si concluse con la
battaglia di Lastra, un vero e proprio fallimento con la morte di
quattrocento uomini e la disfatta dei bianchi.
Fu uomo politico, fu nel
Consiglio del popolo di Firenze dal novembre 1295 all'aprile
1296, nel gruppo dei "Savi", dal maggio al dicembre del 1296 fece
parte del Consiglio dei Cento.
Nell'anno 1300, Dante fu
eletto nel consiglio dei priori.
Lo troviamo nella veste
di ambasciatore nel maggio del 1300 a San Gimignano, poi, nel tentativo
di distogliere il papa dalle sue mire egemoniche, fu ambasciatore a
Roma presso Bonifacio VIII. Durante la sua assenza i neri fiorentini,
nel frattempo saliti al potere, lo condannarono all'esilio perpetuo e a
morte nel caso fosse preso.
Anche in esilio Dante
ebbe l'occasione di negoziare la missione diplomatica che portò alla
pace tra i Malaspina e il vescovo-conte di Luni nel 1306 e, poco prima
di morire, fu a Venezia per trattare la pace fra i Da Polenta di
Ravenna ed il Doge.
Fu uomo di corte, amico
rispettato delle migliori famiglie nobili del tempo che lo ospitarono
benevolmente come i Malaspina di Lunigiana, gli Ordelaffi di Forlì, i
conti Guidi del Casentino, i della Scala di Verona, i da Polenta di
Ravenna.
Dante non era quindi un
uomo che si muoveva a piedi, che, una volta esiliato, si nascondeva nei
boschi ed in ripari di fortuna. Si spostava per lo più a cavallo, forse
sempre accompagnato, e dormiva in letti decorosi come si conveniva fra
la gente di stirpe nobile. Era un uomo risoluto, avvezzo all'uso delle
armi e non aveva paura di sostenere la propria opinione arrivando a
sostituirsi al Padre Eterno nel decidere il futuro del suo prossimo
nell'aldilà.
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Il passaggio di Dante dalla Pietra di Bismantova potrebbe essere
avvenuto in almeno due occasioni:
- Nel 1302 dopo la battaglia della Lastra, a cui Dante decise
di non partecipare ritenendo che fosse un'impresa pericolosa ed
inutile, il poeta potrebbe essersi rifugiato a Lucca per qualche tempo.
C'è anche chi sostiene che egli conoscesse la località Bagni di Lucca
dove una vasca ad immersione presso La Villa conserva ancora il nome
"Bagno di Dante". Da qui avrebbe raggiunto Reggio Emilia
utilizzando i passi della Garfagnana ed in particolare la strada romana
delle Cento Miglia per Barga, il San Pellegrino e Bismantova.
- Nel 1306 Benvenuto da Imola, uno dei primi commentatori
della Divina Commedia, sostiene che proprio nei mesi di settembre e
ottobre Dante fu a Reggio Emilia ospite di Guido da Castello dei
Roberti (il semplice lombardo). Sappiamo che poco tempo dopo
Dante era a Sarzana. Tutti gli storici sono d'accordo nel sostenere che
in questa occasione Dante sia passato per Bismantova, prima di salire
al passo dell'Ospedalaccio e raggiungere i feudi dei Malaspina in
Lunigiana.
Casa torre a Burano
Seguendo l'antica strada che da Reggio, passati i quattro castelli di
Matilde e costeggiato il fiume Enza fino a Roncaglio, salito a
Pietranera e Rosano, il poeta si fermò a Burano dove, fino alla fine
del 1800, si trovava una lapide in una casa torre che ricordava il
soggiorno dell'Alighieri in quel luogo. Sulla lapide era inciso il
verso: “Fermati o passeger: contempla e mira, / ché stella di fortuna
il mondo gira”
Da qui, Dante salì l'Appennino attraversando Tavernelle (luogo dove era
segnalato un antico ospitale) e Busana da dove partono due strade, a
sinistra per il passo del Cavorsello e la Garfagnana e a destra per il
passo dell'Ospedalaccio, Fivizzano e la Lunigiana.
Quest'ultimo era un passo di antica viabilità perché univa il Reggiano
al mare. Da qui passavano per l'Emilia, oltre che il sale, spezie e
merci varie provenienti dai porti e, in senso opposto, grani, formaggi,
legna e carbone. Al passo si trovava l'ospedale di San Lorenzo di
Centocroci o San Lorenzo in alpibus già citato tra le dipendenze
dell'abbazia di S. Apollonio di Canossa nel 1116. Rimase in attività
almeno fino alla fine del 1400.
Con la costruzione della attuale SS 63 realizzata negli anni
1828-1843
per il Cerreto, il passo dell'Ospedalaccio venne abbandonato.
Dante, passata la località di Sassalbo nota anche per le miniere di
ferro e d'oro, è probabile si sia fermato, in prossimità di Fivizzano,
al castello della Verrucola, ospite dei Malaspina, prima di recarsi in
seguito a Sarzana per firmare il trattato ricordato come "pace di
Castelnuovo di Magra".
I due tratti, da Parma a Burano e da Burano a Verrucola sono lunghi
circa 50 km per cui si può ipotizzare che Dante potesse viaggiare a
cavallo ed che abbia percorso l'itinerario in due giorni.
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