L'OSPITALITA AL SAN GOTTARDO

dal libro di Giorgio Bellini

edizioni Arca/Jam

 Con il Concordato del 1826 Uri e Ticino si impegnarono a costruire le case di ricovero lungo la strada. Inoltre il Governo ticinese si impegnò a rimettere in funzione l’Ospizio dei Cappuccini sul passo. Uri costruì la sua casa al Màtteli, sopra Hospental, e le due case ticinesi furono costruite tra il 1834 e il 1837; una all’imbocco della valle della Tremola e l’altra, detta di San Giuseppe, circa a metà della serpentina.
Furono progettate dall’ingegner Domenico Fontana al quale il Cantone affidò anche il progetto del nuovo albergo-dogana sul passo.

 

 

Questi edifici venivano a completare l’infrastruttura preesistente e col tempo se ne aggiunsero altri, accessori e meno importanti.
Le case di ricovero, gestite dall’appaltatore del servizio jemale, erano indispensabili in inverno per i lavori di rottura della neve e per l’assistenza ai viaggiatori. Il regolamento imponeva all’appaltatore d’impiegare in ognuna di esse due o tre persone «di
provata moralità e buona condotta a dar ricovero ai viaggiatori e passaggeri che avessero bisogno di riposarsi di rzìvtorarsi o di rtircaldarsi».
Gli uomini (e nei primi anni i buoi) stazionati nelle case erano addetti anche alla rottura della neve e a mantenere in buono stato la pista slittabile.

 

 

Ai viaggiatori «la cui povertà e impotenza è comprovata» si doveva dar da mangiare gratuitamente in caso di cattivo tempo, ma non, se non in caso straordinario, agli abitanti dei vicini villaggi che andavano al Gottardo «pell’esecuzione di qualche industria». Tutti avevano comunque diritto di riposare nelle case ed anche a chi aveva mezzo di mantenersi si poteva chiedere «equo e modico pagamento» solo «per le sussistenze e pei letti». Ognuno aveva diritto alla «beneficenza finché lo comanda il cattivo tempo, o la non apertura del passo» e non si poteva «mandare avanti alcun ricoverato prima che la strada sia aperta per i trasporti». Perciò le case non dovevano essere «lasciate disabitate in nessuna circostanza o tempo dell’anno» e dovevano rifornirsi «di bevande e di cibi come pane, formaggi carne, vino e acquavite sufficienti esatti almeno per l’alimento di quindici persone per due giorni»; nella cattiva stagione «una stanza o stuffa [doveva] sempre mantenersi calda». Ai poveri era somministrata «una buona porzione di zuppa, o minestra e con un pezzo di pane tre volte al giorno». Per chi poteva pagare c'erano «almeno tre letti per forestieri in ciascuna delle due case di ricovero». Le «persone malviventi o sospette come tali», non avevano, «riservato il caso di urgente bisogno», diritto di ricovero ma erano «tolerate finché possano continuare il viaggio». Occorreva sempre «provigione di fieno, strame e legna da fuoco»; inoltre l’appaltatore teneva scorta «di chiodi assortiti e da cavallo, di alcune stanghe e pezzi di legno atti all’acconcio provvisorio di qualche carico o vettura» e metteva a disposizione gli «strumenti più necessari per rimettere ferro a’ cavalli ed all’acconcio suddetto».

 

 


Gli uomini residenti nelle case erano tenuti ad intervenire «tanto per qualunque disgrazia avvenibile, quanto per qualunque accidente presentasse lo stradale» e «ne’ giorni turbinosi e di tormenta dovrà l’impresario o chi per esso di quando in quando sortire dalle case e portarsi nelle situazioni le più atte per osservare se mai un qualche passaggero avesse perduta la traccia e avesse bisogno di soccorso. Correrà in questo caso ad ajutarlo guidandolo verso le case di ricovero». Per questo l’ingegner Somazzi nel 1841 chiese che si collocasse una campana alla casa di San Giuseppe, da suonare in caso di tormenta, e prima del passaggio del convoglio consigliò che «si tirasse dalla detta casa di ricovero uno o due colpi di colubrina per far cadere le valanghe» così «si scemerebbe realmente la somma de’ pericoli di quel passo, che quasi ogni anno vuol le sue vittime». Osservava «che i tiri della colubrina non permetteranno che si accumuli la valanga detta di S. Giuseppe che scende dal vallone soprastante alla detta casa, valanga che anche nell’anno scorso ha devastata quella casa ed ha uccise tre persone e due animali d’apertura». Non so se la colubrina sia mai stata utilizzata, ma la campana venne collocata: fu infatti rubata qualche anno dopo.

 

 


Delle due case, la più importante fu sempre quella della Tremola. Lì in primavera ed autunno si cambiavano i carri e la diligenza con le slitte. Per questo nel 1842, su progetto dell’ingegner Daldini, vi fu annessa una rimessa per la diligenza. La casa di San Giuseppe non era sempre disponibile perché era stata «costrutta a dispetto delli avvertimenti delle persone pratiche della montagna in luogo esposto al pericolo d’una valanga». Per quanto si sa fu infatti danneggiata nel 1838 e 1840; semidistrutta nel 1874 da una slavina, non venne più ricostruita dato che già si stava lavorando alla ferrovia.