Il
tempo della lentezza: la riscoperta (pedestre) dell’Adda
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Lungo l’Adda a piedi da
Pizzighettone
alle sorgenti (tolte le sponde del lago di Como): un indimenticabile voyage
panoramique, come avrebbero detto i pittori
ottocenteschi, seguendo fin dove possibile gli argini del quarto
fiume italiano e maggior affluente del Po con i 313 chilometri del
suo alveo. Che pazza, meravigliosa idea quelle quindici giornate di
scarpinate. C’è molto da camminare e c’è tanto da scoprire
lungo l’Adda. Per dirne una, la Valtellina vista dai suoi argini
non corrisponde affatto a quel non luogo che appare attraverso i
finestrini della macchina.
L'Adda a Pizzighettone
Oltre alle gambe ho usato, a
scanso di
equivoci, le ferrovie dello Stato ritornando dopo ogni tappa al
“campo base”, insomma a casa mia a Milano dove trovo il miglior
letto per riposare che io conosca. Con l’impegno di riprendere
appena possibile a risalire il fiume “all’insu, su, su, su fino a
ribevere le linfe vitali, fino alle montagne sorgive”, come scrisse
Carlo Emilio Gadda. Sempre controcorrente e in nome del ritrovato
“tempo della lentezza” di cui tanto si parla quando si parla del
Sentiero Italia, della Via Francigena, del Camino de Compostela e via
sgambando. Ma a rate, a spizzico, senza alterare il corso della mia
vita, con un lieve zaino sulle spalle, nella consapevolezza che
esistono fra tante meraviglie naturali e artistiche bar, pasticcerie,
birrerie, osterie, bettole, pizzerie, self service, ristoranti
etnici, alberghi a due, tre e più stelle, campeggi.
Partenza dunque in agosto da
Pizzighettone, città fortificata le cui mura che si specchiano
nell’Adda e nel Serio sono state restaurate e ne fanno un piccolo
gioiello che merita una visita. Lungo tratturi e viottoli del Parco
Adda Sud fino a Lodi attraverso torbiere, mortizze (dove il fiume
talvolta tracima per poi tornarsene nel suo letto lasciando una
coltre di limo), ambienti boscati tra fiume e argine maestro,
acquitrini dominati dall’ontano nero. Le macchie dei pioppi
disposti in file precise caratterizzano il paesaggio.
Una mortizza nel Lodigiano
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Rivendita di prodotti tipici
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Da Lodi a Cassano d’Adda ho
percorso
una piccola Amazzonia fra argini boscosi e selvaggi, e mi sono di
frequente fermato ad ammirare le lanche, quei meandri abbandonati dal
fiume che risultano colmi di vegetazione. Ho attraversato cascinali
del Lodigiano e certi borghi antichi restaurati in funzione del
turismo edonistico-masticatorio della domenica. Un territorio
d’insospettabili pregi ambientali, che recentemente si è dotato
anche di spazi per goderne camminando e pedalando, rendendo
accessibili stradine sterrate, sentieri, ponticelli.
Vaprio d'Adda
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Il Brembo entra nell'Adda
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Crespi d'Adda
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Dalla stazione ferroviaria
di Cassano a
quella di Paderno ho seguito una mattina di settembre l’Adda più
pittoresco e più classico, con il villaggio proto industriale di
Crespi, patrimonio mondiale della cultura tutelato dall’Unesco e
ideato nell’ultimo quarto dell’Ottocento da Cristoforo Benigno
Crespi il cui busto in bronzo compare discreto tra gli ordinati
viottoli, a due passi dal Dopolavoro dove servono un’ottima pizza.
Sono poi tornato da quelle
parti in
pieno inverno, al termine di una copiosa nevicata, calzando gli sci e
battendo la traccia fino a Brivio, passando obbligatoriamente dal
traghetto leonardesco di Imbersago. Un incanto. In alcuni scritti
come si sa Leonardo si è interessato dei particolari costruttivi di
questo manufatto, raffigurandolo in movimento in un celebre disegno
nella raccolta Windsor.
L'Adda a Trezzo
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Trezzo D'Adda
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Diritti di pesca
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Anche senza neve è comunque
una vera
meraviglia andarsene a piedi o in bici nella frescura dei boschi di
robinie, tra l’Adda nuova con le chiuse leonardesche e l’Adda
vecchia che s’infila selvaggia tra le gole moreniche del Ceppo.
Dove probabilmente Leonardo s’ispirò per dipingere alcune sue
celebri opere come “La vergine delle rocce”. Lo stesso ponte
Azzone Visconti di Lecco, del 1338, viene da qualcuno riconosciuto
nel ponticello che si intravede nella composizione paesaggistica che
sta alle spalle della stessa “Gioconda”.
S’incontrano strada facendo
e si
aggirano sontuose centrali elettriche in una scenografia teatrale.
Evito di citarle, ma le trovate in tutte le guide. Ma ecco il ponte
di Paderno, questa specie di Torre Eiffel gettata di traverso che
appare come un miraggio dopo cinque ore di marcia da Cassano. Passo
sotto con cautela perché mi dicono che non goda di buon salute,
tant’è vero che i mezzi pesanti sono interdetti. Poi l’orizzonte
si allarga e in vista del Resegone e delle Grigne si arriva Brivio
costeggiando antiche filande.
Brivio
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Il ponte di notte
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L'Adda verso Lecco
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Va ricordato che da Brivio,
toponimo
che deriverebbe da “briv”, ponte, passava sin dall’epoca romana
una strada militare per le Gallie e, dall’epoca medioevale in poi,
una via di transito di commerci e mercanzie verso Bergamo e Venezia.
Ma non lasciamoci distrarre. Il viottolo continua, talvolta
riducendosi a un sentierino fangoso, fino a Lecco tra due catene
ininterrotte, attraversando i laghetti di Garlate e Olginate.
Il ponte di Lecco (archivio VS)
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Il lago da Colico (archivio VS)
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Il “viaggio panoramico” per
me
riprende a Colico con un buon caffè di prima mattina appesa sceso
dal treno. Ma prima d’imboccare gli argini valtellinesi meglio fare
una scappata al forte di Fuentes infilandomi tra quelle rovine
seicentesche su un’area degradata il cui recupero è stato più
volte annunciato, e chissà che sia la volta buona. Poi la traversata
del piano di Colico e del Pian di Spagna, e finalmente il verde
imbuto della Valtellina dove gli argini puntano dritti, eterni, verso
il biancore lontano dell’Adamello.
in Valtellina verso le Orobie
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Terrazzamenti con vigneti
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Il ponte di Ganda a Morbegno
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La scorribanda pedestre
lungo l’argine
tra i noci e i campi di mais (in pratica, una monocultura) fino a
Morbegno riserva linde spiaggette, scorci bucolici e, purtroppo, non
poche barriere invalicabili che costringono a tornare sulla statale.
L’Adda che qui nel 1987, i giorni dell’alluvione, era livida di
rabbia e di fango, appare ora limpida e celeste come il cielo di
Lombardia. A Morbegno, attraverso l’antico pone di Ganda, si
scantona nella Strada Valeriana il cui tracciato giungeva
nell’antichità fino a Bormio e da qui, attraverso le scale di
Fraele, proseguiva fino a Regensburg.
Fra un treno e l’altro più
di un
mese è passato a questo punto dalla partenza da Pizzighettone.
Un’eternità. Era agosto e ora l’autunno incipiente va tingendo
di rosso acceso queste amate sponde e dai rami grondano grappoli
ormai da vendemmiare, mentre nei meleti di avvicendano raccoglitori
di varie etnie. Da Sondrio a Tirano opto per la “panoramica” dei
Castelli, pittoresca e solatia, dominata dai Pizzi del Diavolo e di
Coca, tra i vigneti del Sassella e dell’Inferno, attraversando
Ponte in Valtellina e Teglio. Si va per asfalto, non c’è altra
scelta. Ma il traffico è scarso e certe deliziose locande sono
perentori inviti alla sosta.
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Da Tresenda in su ancora
meleti e
meleti lungo l’argine sinistro. Finché non compare una celebrità:
il campanile del santuario di Tirano ai cui piedi scorre quasi
inchinandosi il trenino rosso del Bernina all’inizio della sua
corsa verso Sankt Moritz. Una fetta di fragrante amor di polenta, poi
s’imbocca il viottolo sul versante retico, in leggera salita. Lo
scroscio del fiume, fattosi più vivace, accoglie in un alternarsi di
vigne, meleti e boscaglia. Le sponde sono ineguali: ora piane, ora
erte o sassose, il fiume si scava il letto come può.
Superata Grosio, occorre
ingegnarsi per
indovinare antiche tracce di sentiero tra i castagni fino all’antico
molino di Mingiondo, uno degli angoli più incantevoli e appartati.
Siamo quasi all’epilogo dell’avventura. Da Le Prese a Bormio si
attraversa l’immensa frana della Val Pola, arida ma non desolata,
con il tempietto dedicato alle vittime di quei remoti anni Ottanta.
Il letto del fiume è sepolto centinaia di metri più sotto,
poverino, incanalato in un bypass. L’ultima tappa conduce da Bormio
alle sorgenti sul versante meridionale del Monte del Ferro a 2290
metri di altitudine, lungo strade sterrate e mulattiere, al cospetto
dei ruderi spettrali delle Torri di Fraele, costeggiando a quota
duemila i laghi di Fraele e Cancano.
Questi
280
chilometri a piedi, questi 1800 chilometri percorsi su treni e
autobus, questa specie di videogame inframmezzato alla vita di tutti
i giorni, si riaffaccia ora alla mia mente come un’epopea (esagero,
lo so) mentre sul far della sera un branco di camosci si allontana
verso l’ultimo sole e io stappo felice una bottiglia si spumante.
L’acqua dell’Adda gorgoglia soddisfatta di venire al mondo nella
gelida penombra del tramonto: e dalla pozza, come da una mano di
madreperla, lunghe dita si distendono nella prima neve, una coltre
sottile come un velo da sposa.
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