Oltre i "muscoli" c’è qualcos’altro
Ma con la tecnica non si sale al cielo
Come e perchè l’epoca medioevale ne intravide la "necessità" ma ne frenò lo sviluppo
di Francesca Seneci, Leonardo Tininini studenti della sperimentazione linguistica del «Calini» di Brescia.


 

Sembra naturale pensare alla tecnica nel Medio Evo come ad un insieme di strumentazioni piú o meno analoghe alle nostre, ma non è in realtà così. Gli uomini del Medio Evo devono produrre la loro vita materiale a partire dagli arnesi piú semplici per la lavorazione della terra fino agli arnesi stessi necessari alla produzione di tali oggetti. Tutto ciò tenendo sempre conto dell'esiguità delle materie prime e del problema dell'energia.

Nel mondo classico la fonte di energia utilizzata era quasi esclusivamente il muscolo umano. La tecnologia medievale nasce con questo carattere: non può piú fare appello al muscolo, non ha piú a disposizione la forza dello schiavo; per far fronte a tale mancanza essa fa ricorso a nuove fonti di energia e a nuovi congegni per meglio utilizzarle (ad esempio il timone nel campo della navigazione) .

L'impossibilità di continuare ad utilizzare la fonte di energia quasi esclusiva fino a quel momento e la necessità di qualche forma alternativa che permettesse di costruire case, chiese, armi, arnesi porta all'utilizzazione di tre forme «nuove» di energia. Non si tratta ovviamente di fonti ignorate in precedenza, ma comunque scarsamente utilizzate; tali sono la forza animale, dell'aria, dell'acqua.

L'appello a tali forme di energia è incrementato e moltiplicato dal sorgere del borgo, della città, «il luogo dove la vita va innanzi secondo modi di produzione che non sono piú soltanto agrari». Si delinea così la figura dell'artigiano e del commerciante; un artigiano che si trova a dover creare ex novo tutto ciò di cui necessita, i suoi arnesi, in un certo senso la sua professione. Ma come vedeva un uomo dotto del tempo, quale Ugo di S. Vittore, la nascita di questa nuova realtà sociale?

Per l'uomo esistono sette arti liberali dello spirito e sette del corpo o meccaniche; queste ultime rispondono ai bisogni primari dell’uomo. L'uomo deve fermarsi a soddisfare questi bisogni, non deve però sviluppare tecniche che tendano a creare nuovi bisogni, le tecniche stesse non devono essere piú di sette.

Il pericolo precontenuto nello sviluppo della tecnica è quello appunto di «esagerare». Tutta la vita dell'uomo deve invece essere condotta all'insegna della parsimonia che si pone come virtú massima.

La parsimonia deve regolare la vita dell'uomo e deve limitare la tecnica affinche non crei bisogni che in realta non esistono. Da qui deriva l'atteggiamento di rifiuto, da parte del dotto, dell'artigianato e del commercio. La tecnica non deve svilupparsi, ma deve rimanere ad un livello inferiore; essa riguarda unicamente il corpo, non insegna come salire al cielo, ma insegna a soddisfare i bisogni di sussistenza. Così non è concesso che nasca una cultura del mondo tecnico del resto la tecnica non può fare nemmeno da supporto alla cultura.

Si crea quindi un divorzio «divisio», fra dottrina e tecnica, fra riflessione teorico-fisico-matematica e applicazione pratica. In questo modo il dotto deve rimanere staccato dal tecnico, non ha nulla da imparare da questo, nè il tecnico ha da insegnare al dotto.

Questa «divisio» continuerà fino ai tempi di Galileo, fino alla rivoluzione scientifica, fino a quando cioè la scienza avrà bisogno della tecnica per potersi sviluppare.






 

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